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La pittrice Anna Maria Cesario, livornese di origine, dipinge da oltre vent’anni, proponendo una pittura catarticamente autentica, nella costante ricerca di una semantica personale che travalichi il linguaggio comune per esondare in un simbolismo auto indotto dalle proprie esperienze. La riflessione interiore si accompagna all’interpretazione sensoriale dell’immagine rappresentata sulla tela, stimolando il fruitore ad abbandonare l’etimologia razionale dell’ovvio per percorrere un viaggio interiore il cui traguardo non gli è dato conoscere. L’aspetto geometrico delle forme e l’uso del colore tendono nel tempo ad abbandonare il puntuto dando vita a figure più rotondeggianti, mentre le tematiche assumono un’espressività più personale e intima, inesorabilmente dolorosa. La sua opera esplicita come la Cesario percorra l’arte poetica della forma che, valorizzata dal suo intuito emozionale e dalla sua creatività, si affascina alla vita psicologica ed emotiva dell’uomo trasmettendone il dramma esistenziale. Nei personaggi onirici il cromatismo è l’elemento emotivo che induce a un’evoluzione stilistica continua e innovativa. Esso segna il passaggio simbolico a una nuova condizione del vivere e diviene forza espressiva, mentre le figure assurgono a vettore penetrante dei messaggi attuali, quali la sofferenza dell’uomo e la paura di vivere. L’artista ha meditato a lungo sulla propria immagine restituendoci momenti corporei di raffinata accuratezza dove l’arte si sviluppa come logica conseguenza del suo intimo pensiero legato al corpo della donna che disseziona con precisione chirurgica. I volti, gli occhi, i seni, le vulve insorgono dalle opere quasi a chiedere un aiuto per una rivoluzione iniziata in solitudine che vuole aprirsi all’altro. L’uso del colore e la tecnica impiegata enfatizzano il percorso di maturazione indagando la fonte corporea del dolore.

Riflessioni sulla pittura di Anna Maria Cesario di M. Zanetti

Da un po’ di tempo osservo la pittura di Anna Maria, pittura di forte impatto emotivo ed evocativo. Le sue figure sono pezzi di emozione che si staccano dalla tela e narrano il vissuto dell’artista, lo rappresentano sia visivamente grazie all’uso sapiente del colore sia con le sue forme geometriche e regolari. Apparentemente si avverte sovente un contrasto, uno iato tra le suddette forme rotondeggianti e quindi armoniche e l’urlo che queste forme esprimono, urlo di dolore, urlo di riconoscenza e di riappacificazione con la vita, urlo di rinascita. Una pittura che sapientemente mescola rabbia e delicatezza, forza e calma, nascita e morte in quel succedersi continuo che la pittura da sempre può e sa rappresentare. E Anna Maria sa cogliere bene questi sentimenti, queste apparenti astrazioni per riportarci alla vera essenza del vivere con una puntuale disamina dei volti e dei corpi in queste immagini che pulsano fuori dalla tela per parlarci della fragilità del nostro esserci nel mondo e forse persino per ricordarci che la nostra dignità sta tutta lì nel pensiero che la pittura sublima in passione e verità. Osservare questi lavori richiede pazienza, ascolto, la necessaria distanza per coglierne appieno i molteplici vissuti che ben rappresentati indicano sempre vie di uscita nuove, e il colore usato con sapiente accostamento ne è partecipe attore sulla tela, e resta se vogliamo il buon alfabeto di una rinascita che si gioca attraverso la pittura, la sua, e il sogno, la speranza che ci accompagna sempre e comunque oltre i nostri stretti confini.

Inter formas: un percorso per la rappresentazione di Anna Maria Cesario di Gianpasquale Greco

Tra le forme può esserci una realtà migliore che non quella delle forme stesse. Lo intuivano gli artisti riformatori della figurazione nel tardo XIX secolo, quando la fotografia sottrasse loro l’esclusiva dell’oggettività in appena qualche decennio. Essere tra le forme non vuol dire, però, negare la forma
stessa. Può voler dire prevenirla o intuirla nella sua dimensione aurorale. Rendersi conto, ovvero, che anche il colore, quale elemento primario, può promuoversi da campitura al rango di figurazione. Questo lo sapevano gli stessi riformatori, ed ancor prima un Diego Velázquez o un Tiziano, per certi versi
‘inventori’ dell’Impressionismo. I colori, come quelli di Anna Maria Cesario, possono essere infatti dismessi dal loro ruolo di ingredienti ed indagati come fini del dipingere.
E la pittrice, livornese napoletanizzata, autrice prolifica con la necessità della pittura per rappresentare sia il mondo esteriore visto da sé, sia quello interiore suo proprio, apre diversi fronti di
sfrondamento delle forme, posizionandosi proprio tra queste. Non nell’interstizio tra l’una e l’altra, ma a valle o a monte di esse, utilizzando la pittura o come un microscopio che scenda nell’indagine infinitesimale, o come una lente ad occhio di pesce che le contempli genericamente dall’alto di una cima. Ovvero quello stare in mezzo al tutto che, se l’italiano fa fatica a restituire con una formula netta, il francese intende con la parola parmi, a differenza dello stare tra due sole cose, ovvero entre.
In alcune delle opere di Anna Maria Cesario, come le ‘danze cromatiche’, le forme perimetrali sono superate da un suggerimento cromatico. Non è dunque necessario il consolidarsi di chiare immagini per la trasmissione di un significato, che qui diviene totalmente evocativo. È una pittura in cui il sentire istintivo sostituisce la figurazione oggettiva. La teoria dei colori è dalla Cesario infatti applicata come manifestazione ottica, capace di incidere su determinati recettori cerebrali suscitando conseguenti reazioni. In tal senso, i titoli delle opere sono conferme dell’esperimento a cui per primo deve esser giunto lo spettatore, e non didascalie che inchiodino a vedere ciò che presuntivamente l’autore avrebbe
voluto rappresentare senza, di fatto, farlo oggettivamente.
Altrove, invece, come nelle opere della sezione ‘inter formas’, la declinazione del tema si fa capace di realizzare architetture cromatiche, partendo da grosse campiture di colore seccamente divise da toni contrastanti. Pennellata piatta, dura, gravida di colore e netta come la spatola di un costruttore. Tra
chiari e scuri, poi, che suggeriscono perfino l’immaginazione di severi profili urbani ed industriali, non mancano anche altri soggetti, caratterizzati da giochi luministici, che riportano l’occhio in un agire ondivago, capace di ricevere le tonalità come un’altalena di risonanze. In ambo i casi, l’autrice
rappresenta chiaramente un’interiorità che non saprebbe ridursi all’oggettività, ma che non per questo appare meno meditata ed organizzata pur nella sua arbitraria rinuncia ad essa.

Si tratta infatti di trascinare nel colore non un concetto ma un subbuglio interno, che sceglie il gesto dell’impressione subitanea e non il discorso compiuto. Questo è ancor più vero e metodicamente necessario nelle opere del ciclo ‘pseudomnesìa’, in cui l’immaginazione di un falso ricordo copre o supplisce carenze di memoria, o attiva rievocazioni di sensazioni che parrebbero ricordi poiché appaiono familiari, ma in realtà del tutto nuove.
Nel mondo della psiche Anna Maria Cesario mostra il massimo dei suoi frutti, spezzando i colori con gravissimi contrasti cromatici, che corrispondo precisamente a porzioni di sentimenti o di emozioni.
Nelle opere della ‘sedimentazione’ invece, i colori, sempre scanditi dalla rigida separazione in aree geometriche, divengono invece più soavi, con una tavolozza calda e delicata, senza per questo perdere il loro gradiente cromatico.


Esiste, poi, un altro versante del lavoro della Cesario. È quello della pittura concettuale ad olio, dove la forza cromatica ospita anche la forma. Si tratta di una struttura ancora vaga, in cui si riconosco forme femminili a mo’ di teorie, di chiome arboree, di ventagli. Il risultato è quello di una danza psichedelica
della cromia con costruzioni che abbracciano l’Atrattismo ed il Concettualismo del solco novecentesco.
Appare anche il ritratto, in un volto con influssi primitivisti, tribali, in cui il colore ha una componente emotiva primaria, tanto nel determinare l’espressione del volto quanto nell’evocare la reazione dello spettatore. Dietro alcune di queste opere, un sentore di Cubismo è appena percettibile, pur subito scivolando nella liquefazione delle forme.
Ma, quando queste sperimentazioni virano nel novero delle opere della ‘pace violata’, ecco i medesimi soggetti attraversati da una violenza cromatica che vibra i dipinti con spatolate ascensionali paragonabili a fiammate tonali o a uragani coloristici, e che comunicano subito un dramma. Si tratta di
un qualcosa che fa ‘esplodere’ l’immagine, in cui si nota un possibile debito con le soluzioni di Francis Bacon.
Infine, la forma torna massimamente presente nelle opere della sezione ‘adattamento’. Qui l’autrice impiega una geometria astraente che suggerisce immagini solo tendenti all’oggettività, con orchestrazioni coloristiche antitetiche e nette, senza riverberi tonali. Il gradiente cromatico tende casomai ad affievolirsi, in favore di uno studio essenzialmente geometrico, in cui i perimetri si rivelano per la prima volta, trainando il catalogo della pittrice, sempre finora uniformemente onirico ed
introverso, in una dimensione sì concettuale ma estrinseca, di meditante contemplazione.
Due anime e due stili per una pittrice che può esser letta quasi come una suggeritrice delle quinte dell’animo e delle retrovie della forma. Non una pittura dichiarativa ma l’incunabolo della suggestione, che fa di Anna Maria Cesario una custode dell’intuizione ed una trasmittente dell’immanenza interiore.

Più un canale che una fonte. Quasi una vergine vestale del fuoco primigenio a cui è l’uomo, ovvero lo spettatore, a dare definitivo adempimento.

Pseudomnesia di A. Colasanti

A pochi mesi dal successo della sua mostra personale dal titolo emblematico “Inter Formas” presso il Museo Temporaneo di Impresa di Pompei, con la quale aveva proposto al pubblico una visione trasversale della sua arte, spaziando tra opere concettuali e oniriche dove l’antropoformismo, sotto forma di un istinto quasi dottrinale di rappresentazione di una realtà umana e spirituale personale, si proponeva morbidamente tra sensuali forme pseudo femminee e, quasi in antitesi, opere di natura prettamente astratta volte a stimolare sinapsi dormienti nell’adorazione dello spazio tra forma e colore – l’artista livornese Anna Maria Cesario torna negli stessi luoghi di Inter Formas con una nuova fatica pittorica che prende spunto dalle memorie lontane di immagini appartenenti a un remoto imprinting della propria esistenza, un marchio che riproduce i tratti di un Amarcord nostalgico nel quale l’imprecisione del ricordo rappresenta l’essenza vitale di una dipendenza emotiva. Con approssimazione non casuale, dettata da soffusi mescolamenti cromatici, come se le nebbie della mente si fossero materializzate tra le forme, l’artista prova a cristallizzare sulle tele le proprie allucinazioni della memoria, falsi ricordi o riconoscimenti volti a colmare le lacune della ragione, dando luogo a una forma di Paramnesia visiva dove la Somiglianza sostituisce la Realtà che diviene Apparenza. Questa Pseudomnesia consente all’artista di rappresentare paesaggi solo all’apparenza surreali, sovente legati al mare oppure a lievi colline autunnali, come compensazione di quei deficit mnesici che l’autrice sente essere stati fondamentali per la propria formazione umana ma che ora possono essere materializzati solo attraverso l’invenzione parziale di un panorama. Gli orizzonti geografici sono raffigurati da una linea labile ma concreta e rendono il campo visivo indefinito assurgendo alla funzione di un Portale che conduce verso quel passato rimosso sistematicamente da eventi talvolta euforici, spesso tragici, che l’esistenza umana impiega come gomme da cancellare per lenire dolori e accentuare piaceri. Il ricordo di uno skyline, sintesi emotiva di molteplici ambienti in un’unica istantanea eterna, è ancor più vivido se appartiene a luoghi che hanno segnato la propria esistenza, nel bene e nel male. Una visione nostalgica che, nell’apparente distorsione della memoria, riesce nell’intento di sedimentare un istante visivo vissuto al di là del tempo e dello spazio, pur nella consapevolezza che quel luogo esiste realmente e rappresenta per noi qualcosa di indelebile. Con le sue opere dai titoli enigmatici – “Contemplazione silente di un Tramonto”, “Sogno di una mente Ordinaria” giusto per citarne due – l’artista sembra invitare il fruitore a perseguire il Sogno, a coltivarlo giorno per giorno, mantenendo al contempo gli occhi aperti e vigili, conservando sempre due o più strade da percorrere, scegliendo in funzione degli eventi, perché quando il fumo disordinato della mente diviene evidente solo ai propri occhi, allora non c’è più verso di raddrizzare i sensi e la distorsione che ne deriva è ormai diventata un’illusione reale.

Confessione e Pudore di A. M. Cesario

I lavori che ho eseguito negli ultimi anni prendono spunto da riflessioni opacamente lucide sulla mia esistenza e dalla involuzione del mio approccio alla vita per effetto di stati d’animo dettati dai condizionamenti esterni. Il raggruppamento di questi lavori in macro contenitori, pur nella consapevolezza che la loro catalogazione sia solo un atto formale antitetico rispetto al loro intrinseco significato, evidenzia l’intento di dare un nome agli stimoli emotivi che hanno mosso la mia mano sulla tela. L’escissione chirurgica, l’adattamento forzato, la catarsi seguita dalla metamorfosi, l’estraneazione rispetto al contesto, il viaggio sinaptico, esprimono il tentativo di dare forma e colore a queste condizioni psicologiche. Recitare un ruolo per troppo tempo, non riconoscersi più nella maschera indossata, asseconda probabilmente il misterioso confine tra bianco e nero, negando la possibilità di focalizzarsi su bagliori differenti da quelli che per osmosi produciamo verso gli altri. A più riprese mi sono interrogata se fossi tra coloro che non avrebbero mai visto il colore nella sua purezza originaria, limitandomi a stringhe di luci e ombre che si accavallano tra loro fino a confondere e occultare la realtà verso la quale dovrei propendere per reciproca attrazione. L’oscillare legati a un elastico che ci riconsegna allo stesso punto di partenza ha un unico pregio che si formalizza nello stimolo umano alla sopravvivenza attraverso l’individuazione di valvole salvifiche di libero sfogo che nel mio caso dovrebbero coincidere con la pittura. Inconsciamente ho sempre desiderato recidere quell’elastico, bruciare la mia coscienza e sacrificarla ai lumi dell’incoscienza, riplasmarla secondo canoni che non sono parte del mio vissuto. Eppure è stata proprio la mia esistenza inconsueta, sin dalla mia infanzia più acerba, la catena che mi ha trattenuto in un porto troppo sicuro ma lacunoso, quando avrei ardentemente desiderato naufragare in mari sconosciuti e se nel caso affogarvici. Se ogni uomo è un caso allora ogni caso è un universo e dietro la luce più sfolgorante può celarsi una oscurità nascosta al mondo reale. E dietro al buio o accanto a esso può diramarsi una luce in grado di accecare e distruggere quella coscienza radicata nei gangli più profondi dell’animo umano. Alcuni eventi, soprattutto quelli che vanno ad intaccare la nostra salute, generano reazioni differenti nella personalità di chi li subisce. Talvolta sono in netto contrasto con i normali canoni evolutivi del comportamento umano rispetto a uno stesso accadimento. Nel mio caso il recente tumore e la terapia mi hanno colto di sorpresa sparandomi nello spazio come un missile dalla cui deflagrazione è forse nata quella nuova coscienza tanto proclamata, madre di tutte le future consapevolezze, figlia del mio dolore. Le piccole, enormi trasformazioni corporee imposte dalla cura agiscono subdolamente, creando ansie, temprando lo spirito e distruggendolo al contempo, riplasmando la mente già provata, riattivando complessi ed insicurezze, rendendoci dismorfofobici ad intermittenza, incapaci di vederci al di là di difetti che percepiamo come deformità aliene al nostro essere o come doni del cielo. Quando il sospiro diventa costante e tenace, più lungo dell’eterno, silente per chi non lo vuole ascoltare, allora bisogna fermarsi per ritrovare se stessi. Quel sospiro me lo porto appresso da troppo tempo, incastrato tra il bene e il male delle mie riflessioni. Da questo recente marasma interiore hanno preso vita le mie ultime opere che forse per la prima volta rappresentano l’estensione cromatica di me stessa depurata da qualsiasi escrescenza autolesionista.

Exhibitions 2020 – 2024

2024 – Museo Temporaneo d’Impresa – Pompei – Esposizione Personale Pseudomnesia con il patrocinio del comune di Pompei 

2024 – Museo Temporaneo d’Impresa – Pompei – Esposizione Personale Inter Formas con il patrocinio del comune di Pompei 

2022 – Palazzo Fruscione in Salerno – Mostra Personale L’altra Donna nel contesto de Le Stanze dell’Arte

2021 – Biennale di Salerno – Vincitrice per la sezione Neuroscienze 

2021 – Biennale di Genova – Esposizione e Menzione dell’opera Flusso

2021 – XIII Edizione Florence Biennale

2021 – Vincitrice del premio Dante Alighieri – Purgatorio – con l’opera Insieme presso la Galleria Area Contesa – Roma

2021 – Esposizione in via Margutta delle opere Angelica Energia e Binomio Inamovibile

2020 – SaturArte – Menzione per l’opera Lo stesso sangue